Il Luspatercept è un biologico con un innovativo meccanismo d’azione che agisce sull’eritropoiesi inefficace. Due studi presentati al congresso dell’American Society of Hematology lo hanno testato sulla beta-talassemia e sulle sindromi mielodisplastiche. In entrambi i contesti il farmaco ha corretto l’anemia in una significativa percentuale di pazienti, riducendo così drasticamente la necessità di ricorrere alle trasfusioni. Il farmaco potrebbe arrivare ai pazienti entro la prima metà del 2020 e sarà prodotto da uno stabilimento di Monza.
Sono due studi considerati dagli esperti ‘game-changing’ e presentati quest’anno al congresso degli ematologi americani, entrambi legati ad un innovativo farmaco biologico, il luspatercept. Si tratta di un ‘primo della classe’ dal meccanismo assolutamente innovativo, in grado di correggere l’eritropoiesi inefficace, in patologie distanti anni luce tra loro e accomunate solo dal fatto di rendere l’esistenza del paziente trasfusione-dipendente. Le entusiasmanti performance del luspatercept sono state testate in due studi di fase III, il BELIEVE su pazienti affetti da beta-talassemia e il MEDALIST su pazienti affetti da sindromi mielodisplastiche. Patologia genetica rara la prima che vede però l’Italia tra i primi Paesi del mondo occidentale come numero di pazienti interessati; patologie più frequenti e dell’anziano invece le sindromi mielodisplastiche, con un forte carico trasfusionale: ben il 56% dei pazienti afferenti ai centri trasfusionali sono affetti da questa patologia.
A presentare lo studio BELIEVE di fronte alla platea commossa dell’Ash è stata la professoressa Maria Domenica Cappellini, dell’Università di Milano, una delle maggiori esperte mondiali di beta-talassemia per la quale, come ha commentato un suo collega ematologo, i risultati di questo studio rappresentano la ciliegina sulla torta di una prestigiosa carriera.
“Al momento – ha commentato la professoressa Cappellini – lo standard di cura per aiutare i pazienti con beta-talassemia a gestire la loro anemia, è rappresentato dal ricorso a trasfusioni regolari per tutta la durata della vita (anche fin da bambini, dall’età di 1-2 anni); questo può determinare nel tempo patologie da accumulo di ferro e comorbidità potenzialmente fatali. I risultati dello studio BELIEVE sono eccitanti in quanto suggeriscono che il luspatercept può aiutare i pazienti a ridurre questa loro dipendenza dalle trasfusioni”.
Lo studio BELIEVE
Lo studio BELIEVE ha valutato l’efficacia di luspatercept su pazienti adulti con beta-talassemia trasfusione dipendente. E’ un trial di fase III randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo, multicentrico che ha confrontato luspatercept versus placebo in 336 pazienti adulti affetti da beta-talassemia trasfusione-dipendente, randomizzati 2:1 al trattamento con luspatercept per via sottocutanea 1,0 mg/Kg, titolabile fino a 1,75 mg/Kg (224 pazienti) o placebo (112 pazienti) ogni 3 settimane per un periodo fino a 48 settimane. L’età media dei pazienti era di 30 anni in entrambi i rami dello studio, condotto presso 65 centri in 15 nazioni diverse. Anche l’Italia vi ha preso parte con un buon numero di pazienti. I soggetti arruolati richiedevano in media la trasfusione di sei unità di sangue nell’arco di un periodo di 12 settimane, prima dell’inizio dello studio. I ricercatori hanno registrato il numero di unità di sangue che ogni partecipante ha richiesto nel corso degli 11 mesi circa (48 settimane) di durata dello studio.
Luspatercept ha raggiunto l’endpoint principale della risposta eritroide, definito come una riduzione ≥ 33% del carico trasfusionale (con una riduzione di ≥ 2 unità di sangue) nel corso delle settimane 13-24 rispetto all’intervallo basale delle 12 settimane pre-randomizzazione. Lo studio ha dimostrato inoltre che oltre il 70% dei pazienti trattati con luspatercept è riuscito a ridurre di almeno un terzo il ricorso alle trasfusioni nell’arco di un periodo di 12 settimane consecutive (contro appena il 30% dei soggetti del gruppo di controllo).
“La beta-talassemia – commenta la professoressa Cappellini – è una patologia molto impegnativa. Questo nuovo approccio farmacologico è in grado di rivoluzionare la qualità di vita dei pazienti; e anche per quelli che non si emancipano del tutto dalle trasfusioni, ridurne comunque la frequenza significa evitare le comorbidità associate”.
Dato che la gravità della beta-talassemia è associata alle variazioni genetiche presenti, gli autori dello studio faranno una sottoanalisi dei dati per determinare quali geni o altri fattori siano in grado di influenzare la risposta dei pazienti al luspatercept.
Sono attualmente in corso altre tre studi, il COMMANDS di fase 3 su pazienti con sindromi mielodisplastiche a basso rischio in prima linea, lo studio di fase 2 BEYOND su pazienti con beta-talassemia non trasfusione dipendente. Il luspatercept è infine al vaglio di uno studio di fase 2 su pazienti con mielofibrosi.
Il file registrativo di luspatercept verrà sottomesso all’FDA e all’EMA all’inizio del prossimo anno. Il farmaco potrebbe dunque arrivare ai pazienti entro la prima metà del 2020.
Il nuovo biologico sarà prodotto dalla Pantheon Italia SpA di Monza e distribuito in tutto il mondo.
La beta-talassemia
La beta talassemia è una patologia genetica causata da mutazioni del gene HBB (sul cromosoma 11), che provoca una ridotta produzione della proteina emoglobina e che si ereditano con modalità autosomica recessiva. Le persone affette da questa condizione presentano ipersplenismo, litiasi biliare, iperplasia mascellare, fratture patologiche.
Questa condizione, detta anche ‘anemia mediterranea’ definisce un gruppo di malattie ereditarie del sangue, caratterizzate da una sintesi ridotta o assente delle catene beta dell’emoglobina. I pazienti che ne sono affetti possono dunque presentare gradi variabili di patologia, dalla sostanziale assenza di disturbi ad una grave forma di anemia che richiede frequenti trasfusioni. Le ripetute trasfusioni risolvono temporaneamente il problema dell’anemia ma ne creano altri, legati all’accumulo di ferro, che interessa vari organi e che a livello del cuore può portare nel tempo ad una forma di scompenso cardiaco potenzialmente fatale.
Non esistono ad oggi terapie (anche se sono allo studio terapie geniche curative) all’infuori delle trasfusioni, che nei casi più gravi vanno fatte fin da bambini e della terapia ferro-chelante per proteggere gli organi dall’accumulo di ferro. Questa patologia ha un incidenza annua nel mondo di circa 1 caso su 100.000. Ad essere particolarmente colpite sono la Grecia e la costa della Turchia, oltre ad alcune isole del mediterraneo come Sicilia, Sardegna, Corsica, Cipro, Malta e Creta. Particolarmente colpite in Italia sono delta del Po, Ciociaria, Sardegna e Sicilia.
L’Italia è il Paese del mondo occidentale con il maggior numero di pazienti affetti da questa patologia. Si stima che in Italia potrebbero essere oltre 7.000 le persone con beta-talassemia candidabili a questo trattamento, per ridurre il loro carico trasfusionale.
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