La prof.ssa Cereseto racconta la scoperta di EvoCas9 e spiega come valorizzarla tra università e impresa
L’eco della sensazionale scoperta di CRISPR da parte di Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier si è espanso come un’onda d’urto investendo tutti i maggiori laboratori di biologia molecolare del pianeta ma è dal CIBIO, il Centro di Biologia Integrata dell’Università di Trento, che questa eco è stata captata e riflessa con maggior energia. Perché proprio all’interno dei laboratori di ricerca tra le Alpi Sud-Orientali è nata EvoCas9, una moderna ed efficace versione di Cas9, la proteina che nel sistema CRISPR ricopre il delicato compito di tagliare la doppia elica del DNA.
EvoCas9
A spiegare nel dettaglio che cosa sia questo innovativo “bisturi molecolare “e come sia sorta l’idea di trasformare le appena nate e già rivoluzionarie “forbici” in uno strumento ancora più preciso e funzionale è la prof.ssa Anna Cereseto,Direttore del Laboratorio di Virologia Molecolare del CIBIO che ha sovrinteso la ricerca. “Quando Doudna e Charpentier dalle pagine della rivista Scienceannunciarono questa nuova tecnologia ce ne siamo immediatamente interessati perchè abbiamo capito che avrebbe costituito un punto di svolta nell’editing genomico”.
Infatti, CRISPR-Cas9 ha l’enorme potenzialità di modificare il DNA all’interno delle cellule stesse: una volta che sia nota la mutazione da cui origina una malattia, grazie a questa molecola è possibile correggere il sito mutato in maniera efficace. Tuttavia, spesso accade che proprio quando si è più vicini alla meta il terreno rischi di franare sotto i piedi e uno dei punti di debolezza del sistema CRISPR può tramutarsi in un ostacolo di non trascurabile entità sul cammino verso il suo utilizzo in clinica. “Nei primi esperimenti si è potuto osservare che, oltre a modificare il DNA nel punto indicato ed essere estremamente duttile e programmabile, CRISPR-Cas9 era una molecola che faceva parecchi errori e tagliava anche in siti non desiderati” – aggiunge Cereseto – “Ciò ha creato un paradosso perché così facendo CRISPR-Cas9 era capace di tagliare e modificare il sito con la mutazione, correggendo la patologia, ma al contempo finiva per essere responsabile dell’insorgenza di altre malattie. Perciò, insieme a un gruppo di colleghi, ho iniziato a ragionare su come migliorare la molecola in maniera rapida ed efficiente”.
L’intuizione dei ricercatori del CIBIO è legata proprio all’origine della proteina Cas9 che serve materialmente ad eseguire il taglio del DNA: CRISPR, infatti, rappresenta il sistema immunitario dei batteri che li protegge dagli attacchi virali. Se un batterio sopravvive all’attacco di un virus, riesce a conservare in una sorta di archivio delle sequenze di DNA del virus e, in tal modo, nel caso di un secondo attacco può riconoscerlo e attivare le difese per tempo. Cas9, quindi, è di origine batterica e ha lo scopo di fare a pezzi il DNA dei virus. “Dovevamo forzare Cas9 a muoversi in un contesto cellulare multiforme perché il nostro obiettivo è di usarla su organismi a un livello di complessità più alto dei batteri” – chiarisce Cereseto – “Così abbiamo usato i lieviti per apportarle delle migliorie. Introducendo in maniera del tutto casuale una serie di mutazioni sulla molecola Cas9 ne abbiamo generato migliaia di versioni tutte diverse e le abbiamo inserite nel lievito, a sua volta modificato in modo tale da segnalare quando Cas9 era precisa o meno nel taglio”. I ricercatori trentini hanno costruito un articolato pannello a più fattori nel quale le varie versioni di Cas9 si incrociavano con quelle del lievito e hanno studiato l’efficienza delle combinazioni. “Quando il lievito diventava rosso significava che Cas9 era in grado di tagliare in maniera precisa” – aggiunge ancora Cereseto – “Se, invece, rimaneva bianco significava che Cas9 aveva commesso qualche errore. Alla fine della fase di screening abbiamo gettato via tutte le colonie bianche e tenuto solo quelle rosse, all’interno delle quali abbiamo trovato EvoCas9, così rinominata proprio perché evolutasi nel lievito, divenendo di fatto molto più precisa della versione originale”.
La rotta seguita dalla prof.ssa Cereseto e dalla sua squadra di ricerca è diversa da quella che ha portato alla nascita di altre Cas9 ad altà fedeltà quali eSpCas9, Cas9-HF1, hypa-Cas9 pubblicate rispettivamente da Zhang, Joung e Doudna. “Gli studi su queste molecole sono stati eseguiti ricorrendo al modello computazionale della proteina e andando a vedere in maniera studiata dove introdurre le modifiche” – precisa l’esperta – “Infatti, le modifiche apportate sono tutte basate sullo stesso tipo di aminoacido che è l’alanina. Noi abbiamo lasciato che a svolgere questo compito fosse la natura stessa per cui la nostra variante esprime amminoacidi diversi. Abbiamo osservato che ogni gene che deve essere modificato può richiedere varianti diverse perciò in futuro questa molecola potrebbe prefigurarsi come una sorta di valigetta degli strumenti contenente diverse varianti della proteina che, a seconda del tipo di malattia o di terapia, potrebbero essere più o meno utilizzabili. È una specie di medicina di precisione all’ennesima potenza che sfrutta molecole diverse a seconda del DNA o del paziente, adattando la tecnologia alle esigenze del medico e del malato. È uno scenario futuro, per ora ancora remoto ma non del tutto impensabile”.
Brevetto e Start-up
Tuttavia, perché il sogno di oggi possa divenire la realtà di domani occorre procedere in maniera organizzata e ben strutturata. Le conseguenze della messa a punto di EvoCas9 richiedono una gestione lungimirante ed esemplare. “Per conferire un valore applicativo alla molecola, l’abbiamo coperta da brevetto, riscuotendo l’interesse di diverse aziende” – prosegue la ricercatrice trentina – “Tutto ciò ci ha portato a vendere una licenza non esclusiva a Intellia Therapeutics, azienda fondata da Jennifer Doudna che si occupa di editing del genoma. In maniera parallela stiamo facendo nascere una start-up all’interno dell’ateneo che si occuperà di far avanzare una strategia terapeutica usando EvoCas9 e che nei prossimi anni potrebbe essere ceduta a un’altra azienda farmaceutica. In tal modo ci proponiamo di sfruttare al meglio tutte le potenzialità della nuova molecola che, in questo momento, è oggetto di intenso studio per il trattamento di alcune mutazioni della fibrosi cistica e della SMA. Ciononostante continuiamo ad occuparci di ricerca di base e siamo entrati in un Consorzio Europeo per sviluppare ulteriori molecole. Nulla, infatti, può trovare senso in fase clinica senza un’adeguata ricerca di base”.
In fondo, questa è la storia di CRISPR, se solo si pensa che gli studi su questa affascinante molecola sono iniziati svariati anni fa con una serie di ricerche sui batteri. Nessuno al tempo avrebbe mai pensato che CRISPR potesse avere applicazioni cliniche. “Quando abbiamo iniziato a lavorare su EvoCas9 eravamo interessati a vedere in che modo, dal punto di vista meccanico, funzionasse questa molecola. Da lì siamo riusciti a trovare uno scopo applicativo. Ma senza il primo passaggio non ci sarebbe stata innovazione” – conclude la ricercatrice – “In Italia mancano finanziamenti statali per la ricerca di base e si fatica a creare innovazione, ecco perché la storia di CRISPR rispecchia fedelmente l’importanza della ricerca di base. Naturalmente, per portare in clinica le scoperte della ricera di base è fondamentale trovare cospicui finanziamenti da parte dell’industria e le università devono lavorare proprio fianco a fianco alle imprese per tradurre scoperte importanti in applicazioni utili. Questo accade nei Paesi più avanzati”. Al CIBIO di Trento si è seguito un modello virtuoso in cui l’imprenditoria ha dato valore alla componente accademica e alla ricerca di base. Un modello che può fungere da ottimo esempio per un intero Paese.